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Pino Pinelli

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Pino Pinelli nasce a Catania nel 1938, dove avviene la sua prima formazione artistica e dove ottiene i primi riconoscimenti. Giovanissimo si trasferisce a Milano – sono i primi anni ‘ 60 – che in quel periodo è particolarmente ricca di fermenti culturali e dove il dibattito artistico dominato dalla presenza di Lucio Fontana, Piero Manzoni, Enrico Castellani, Agostino Bonalumi, Dadamaino, Giovanni Colombo, Turi Simeti è molto stimolante. Dall’atto sperimentale attraverso il fare pittorico, Pinelli passa ad una riflessione cosciente su come intervenire per modificare il dato iniziale e accostarsi all’essenza della pittura. In questa fase di ricerca, in cui tenta di creare un nesso fra tradizione e innovazione, la sua attenzione è rivolta alla superficie, al “vibrato”, allo “stato ansioso” della pittura, per cercare una profondità e attraversarla. Appartengono a questo periodo la serie delle Topologie (Alterazione del rettangolo, 1971; Punti molli, Alterazione del segmento, 1972) e la serie dei Monocromi, 1973 – 1975, la cui superficie, inizialmente delimitata da una sottile linea di confine esplicita o intuitiva, appare mossa da una inquietudine, da un movimento percettivo che sembra quasi il respiro della pittura. Queste esperienze, in cui l’artista si esprime con tele di grandi dimensioni, lo collocano nella corrente che Filiberto Menna denominò “Pittura analitica”. Nel 1975 è indotto a cercare un nuovo senso della pittura. La riduzione della dimensione dell’opera diventa citazione del concetto stesso di pittura. Nel 1975, invitato da Giorgio Cortenova a Rimini, alla mostra “Empirica” Pinelli compie il primo strappo dal monocromo e con la presentazione di una piccola opera, dove alla tela ha sostituito la pelle di daino, si allontana dall’idea di quadro e di superficie dipinta, individuando un nuovo campo di indagine. Scrive Giovanni Maria Accame “Su queste pelli di daino naufraga, per Pinelli, la concezione di una pittura che riconosce come propria sede l’area delimitata del quadro. Si apre al contrario la prospettiva di una pittura in perenne migrazione, nell’interminabile spazialità fenomenica. Un’uscita dal quadro che non è negazione della pittura, ma una sua differente concezione. Diversamente inseguita ed essa stessa inseguitrice di uno spazio sempre assorbente e mai compiuto, la pittura si contrae per espandersi sembra negarsi ma per potersi ancor più affermare[1].” Da questo punto nodale prende il via la stagione della “Disseminazione” dove la pittura, ridotta a frammenti si colloca, quasi mimando il gesto del seminatore, sulla parete in una sintesi tra spazio e pittura che forma un “unicum”. I frammenti sempre monocromi subiranno nel tempo delle variazioni, passando da forme modulari rigorose (1976) ad altre che sembrano gonfiarsi per una sorta di dilatazione energetica (1984) fino alle “scaglie”, caratterizzate dalla leggerezza come fossero la pelle della pittura (1986) e alle successive che hanno riacquistato una maggiore consistenza corporea.